Quello strano oggetto

Questo è un breve racconto che ho scritto negli anni ’80. Se non sbaglio ero a scuola e avrei dovuto seguire la lezione di italiano, ma… scrivere era stato molto più interessante!

C’era, in fondo ad una via del mio quartiere, uno di quei negozi di cose curiose, a volte molto antiche, dove mi soffermavo spesso. Mi avvicinavo alla vetrina e guardavo all’interno quello strano oggetto che da anni mi bloccava lì davanti. Ho sempre pensato che quello strano oggetto dovesse avere un significato: a guardarlo non si sarebbe detto, sembrava solo una statuetta senza una forma precisa; ma ero sicuro che a qualcosa dovesse servire, qualcosa di importante, molto importante. Ormai era diventato il mio sogno, la mia ossessione, quasi il mio incubo; io vivevo solo per quello strano oggetto. Quando ero a scuola pensavo solo a lui e tentavo di immaginare cosa avrei potuto farne; ma come potevo se sembrava così senza senso? Speravo di riuscire, un giorno, a comprarlo, per farlo mio; mio lui e i suoi segreti.
Passò parecchio tempo, finché mi sposai e dovetti trasferirmi dalla parte opposta della città, da dove, raggiungere il negozio, era una vera e propria impresa.
Il calendario girò parecchio prima che quello strano oggetto tornasse alla mia memoria; ormai avevo messo su una bella famigliola e tutte le responsabilità che avevo mi impedivano di ripensare al negozio. Ma all’improvviso, come se qualcuno accendesse un fiammifero, si accese nella mia mente una fiammella, la fiammella di quello strano oggetto. Sentivo una calamita attirare me, debole pezzo di ferro, verso il negozio. Lasciai ogni cosa e, nel pieno della notte, percorsi in automobile tutta la città.
Era lì, lo vedevo attraverso le sbarre della saracinesca, che oltrepassai con un braccio. Ruppi il vetro con il mio pugno e, nel suono della sirena d’allarme, nel rumore del vetro rotto, nel dolore atroce della mano, riuscii ad afferrare quello strano oggetto. Era mio, nelle mie mani; lo possedevo. Un’altra sirena percosse le mie orecchie, il rumore di una portiera che si aprì e che si chiuse; voci, voci tutt’intorno.
(Ma c’ero solo io, io e lui.)
Un rumore improvviso, come uno sparo, e altro dolore, alla schiena; caddi a terra.
C’ero solo io, io e lui, che mi fissava e che mi svelava il suo terribile segreto, tendendomi la mano per portarmi alle porte dell’inferno. Era lui il mio incubo, era lui che mi aveva ossessionato, era lui, quello strano oggetto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *