Torno una volta ancora a leggere qualcosa che ho scritto negli anni ’80. Un piccolo viaggio nell’inconscio che potrebbe essere preludio di un viaggio più lungo e intenso, per costruire qualcosa di più forte.
La mente venne risucchiata dall’inconscio fino ai meandri più sconosciuti di quel mondo labirintico che è il nostro io.
Camminavo lungo una strada asfaltata che si perdeva all’orizzonte, costeggiata da file di villette, case, grattacieli. Ad un incrocio, mi voltai verso la traversa e vidi in fondo il condominio dove abitavo; allora aumentai la velocità del passo, sperando di trovare qualcosa di familiare all’interno di quell’insieme di mura. Appena vi fui presso, scoprii la decadenza che vi gravava, ma vi entrai ugualmente. Fra un’ombra e l’altra vedevo la mobilia, che sembrava come inghiottita dall’oscurità; non vi era più quell’atmosfera tipica di casa mia che mi sfiorava il cuore per calmarlo, così cercai intorno prima con lo sguardo, poi girando qua e là, quando sentii il cammino del mio piede destro ostacolato da qualcosa. Mi chinai e i miei occhi, da poco in grado di vedere, furono colpiti da una immagine orrenda: ero io, disteso per terra, sanguinante, morto. Era stata sempre la mia paura più grande essere ucciso in casa da solo, per cui sentii un fortissimo senso di panico e tornai fuori. Cominciai a correre nel viale tra una casa mia e un’altra casa mia; ovunque guardavo c’erano tante “casa mia”. Entrai in un’altra e vi trovai la mia sala da pranzo apparecchiata, tanto da parer imbandita per un banchetto. Lì questa volta, mangiavo, ma ad ogni morso che tiravo, sentivo il corpo sempre più avvelenato, sempre più lontano, fino a non sentirlo più.
Scappai di nuovo ed entrai in tante altre “casa mia”, ed in ognuna assistetti ad una materializzazione di una mia diversa paura. Quando cominciai a credere di essere ormai imprigionato senza speranza, trovai un’altra strada. La imboccai e fui subito accolto da un canguro con dei grossi occhiali che, tenendo una guida turistica nella borsa, mi prese per mano e mi accompagnò attraverso delle giostre piene di bambini che giocavano. Erano tutti vestiti uguali e, guardandoli meglio, vidi che avevano anche il volto uguale, uguale al mio volto da bambino. Tutti si divertivano, ma un gruppetto iniziò a litigare e, coinvolgendo gli altri, ne venne fuori una zuffa generale. Poi comparve un fucile nelle mani di uno di loro; sparò ad un altro, uccidendolo. Molti lo imitarono e dopo essersi sparati anche fra di loro, ne rimase uno solo. Questi gridò, accortosi di non aver più nessuno con cui giocare e si suicidò immediatamente. Allora, quello morto per primo si rialzò, raggiunse la giostra più vicina e ricominciò a divertirsi. Uno ad uno anche gli altri si alzarono per raggiungerlo finché tutti giocavano di nuovo insieme. Poco dopo, prima che finissi di percorrere la via, li rividi massacrarsi, questa volta con i mitra. Sentii la mano del canguro che intorno alla mia si stringeva, come per chiamarmi e quindi mi girai verso di lui con aria interrogativa. Lui tirò fuori dal marsupio la guida turistica, che, come mi accorsi solo allora, era intitolata col mio nome: per cui tutto quello che stavo osservando, lo osservavo dentro di me, dentro gli angoli più nascosti della mia personalità. La cosa cominciò a piacermi; forse per la prima volta avevo l’occasione di conoscermi per quello che realmente ero; preso da questa ansia, sempre guidato dal canguro, ripresi l’infinito cammino.